L’interesse del consumatore, l’ecologia, l’etica e la salute impattano sull’imballaggio e si fanno tendenze dominanti. Richard Cope, esperto Mintel chiamato da Mondi ad aprire il primo evento europeo sulle shopping bag, spiega come brand e produttori di beni possono tutelare la propria reputazione e costruire un rapporto di fiducia con i clienti.
Richard Cope, consulente senior esperto di tendenze in Mintel, è sbarcato a Praga il 19 aprile scorso, per sviluppare l’intervento principale al primo vertice europeo dedicato alle borse per lo shopping, il Let’s Paper The World 2018. L’evento, organizzato dalla divisione Specialty Kraft Paper della Mondi, fabbricante globalizzato di imballaggi e carta, ha registrato 110 partecipanti, fra produttori di shopping bag e relativi fornitori, e rappresentanti del retail.
Nel suo intervento, Cope ha riportato le istanze del movimento globale anti- inquinamento, che coinvolge gruppi spontanei, governi e ONG internazionali e chiede a produttori e dettaglianti la garanzia che tutti gli imballaggi, compresi i famosi sacchetti di plastica per lo shopping, uniscano funzionalità e sostenibilità a tutto tondo.
In questa intervista, raccolta dai comunicatori di Mondi, Cope ha approfondito gli spunti condivisi con i partecipanti al vertice.
Nel suo intervento afferma che si sta verificando un fortissimo aumento dell’interesse – e dello sdegno – dei consumatori per i problemi legati all’inquinamento da plastica e alle carenze del riciclo. Siamo di fronte a un’inversione di rotta?
Ha utilizzato l’espressione “inversione di rotta”, ed è proprio così che la vediamo in Mintel. “Sea change”, inversione di rotta appunto, è il titolo che abbiamo dato alla nostra previsione di tendenza 2018 su questo tema.
Prima di tutto, l’inquinamento da imballaggi è un problema che le persone possono vedere con i loro occhi: nel mare, in campagna o nelle aree urbane in cui vivono. Vedono che gli imballaggi non vengono smaltiti in modo appropriato, e penso che questo sia il fattore che differenzia questo tipo di inquinamento, per esempio, dal cambiamento climatico e da altre tematiche ambientali meno evidenti.
In secondo luogo, i consumatori si irritano quando scoprono che le aziende di marca immettono sul mercato imballaggi che non possono essere riciclati. Penso che sia proprio qui che si crea il divario: i consumatori si stanno già impegnando, e si aspettano che anche le aziende facciano la loro parte. Chi si sottrae viene visto come reazionario.
Infine, i consumatori sanno che gli imballaggi di plastica si disgregano e finiscono in acqua, e lo considerano un potenziale rischio per la salute. Ci sono molti interrogativi su questo tema, che sta diventando dominante.
In passato, quando il prezzo del prodotto era ancora più importante di oggi, la prima cosa a cui i brand spesso rinunciavano era la sostenibilità. È ancora così? Le persone ora sono disposte a pagare di più per prodotti e imballaggi sostenibili?
Ciò che accade è che molte aziende stanno parlando di utilizzare plastica recuperata dagli oceani. E non si tratta solo i marchi di alta gamma, come ci si potrebbe aspettare, per esempio Method e Lush, ma anche altri come P&G; e Iceland, la catena britannica di surgelati, ha annunciato che passerà ad imballaggi al 100% senza plastica. Il loro target non sono i clienti abbienti, tipicamente attenti all’ecologia, ma famiglie normali. Ed è anche stata avviata un’iniziativa per realizzare bicchieri e coperchi per il caffè in carta riciclabili. Tutto si sta muovendo molto in fretta.
Però… in generale i consumatori non sono pronti a pagare un extra per l’imballaggio sostenibile, a differenza che per altri beni durevoli. La gente si aspetta che i prodotti e le confezioni siano sostenibili anche quando costano poco.
A rendere ancora più complesso il quadro, assistiamo a una diminuzione del potere dei governi e a un aumento di quello delle aziende. I consumatori si aspettano che siano queste a stabilire un programma di etica e sostenibilità, che siano i marchi ad agire eticamente in loro vece, quasi delegando a loro di agire per tutti. Si tratta di un atteggiamento diffuso in tutta la società: sempre più di frequente si ingaggiamo altri perché facciano cose per noi. È la cultura della comodità: la gente si aspetta che le imprese si assumino la responsabilità e agiscano al posto loro. Quando una società come Procter & Gamble inizia a produrre plastica a partire da rifiuti oceanici, questo rapidamente diventa la norma e altri marchi sono costretti a tenere il passo.
Quali sono le probabilità che arrivino nuove normative e cambiamenti di politica in Europa in materia di sostenibilità e packaging?
La situazione in Europa è frammentata. La Germania ha istituito una tassa sui sacchetti di plastica già da anni. Il Regno Unito è stato uno dei primi governi a vietare le microsfere di plastica, ed è probabile che Francia e Svezia seguiranno l’esempio. Poi inizieremo ad affrontare problematiche come quella della plastica liquida nei beni di consumo.
Dunque, è facile prevedere che l’Europa darà luce ad altre normative, e certamente c’è l‘ambizioso obiettivo di eliminare i sacchetti di plastica. E mi aspetto che vengano messi in campo approcci al problema nuovi e sorprendenti: cose che non abbiamo ancora preso in considerazione.
In questo momento attivisti e lobbisti sono in una posizione di forza. Greenpeace, il WWF e altre organizzazioni catturano l’interesse della gente e sono in grado di ottenere centinaia di migliaia di firme rapidamente on line.
I principali generatori di rifiuti di plastica negli oceani oggi si trovano nei paesi del sudest asiatico, come Indonesia, Filippine e Cina – paesi che hanno appena iniziato a utilizzare bottiglie e sacchetti di plastica, e quindi hanno ancora molta strada da fare. La Cina, dal canto proprio, sta già intraprendendo una serie di iniziative radicali per eliminare la plastica dagli imballaggi. Si è posta alcuni degli obiettivi governativi più rigidi, a partire già dal 2030. Mentre in Africa, una delle reazioni governative più forti che io conosca è quella del Kenya che ha istituito multe fino a 40.000 dollari statunitensi a carico delle aziende che usano sacchetti di plastica.
Tornando a noi e guardando alla società di base, i proprietari dei pubblici esercizi stanno cercando di eliminare oggetti come bottiglie e cannucce di plastica dai loro bar e hotel: il movimento ha preso il via.
Che opportunità si creano per le aziende nel campo dell’imballaggio sostenibile?
Alcuni degli obiettivi sul tavolo sono molto ambiziosi; occorre capire se si possono davvero raggiungere entro il 2025. Inoltre, ci sono moltissime opportunità di sponsorizzare iniziative di grande impatto, come bidoni marini che risucchiano la plastica dalle acque dei porti e cassonetti intelligenti, che incentivano a riciclare. I marchi previdenti reagiscono tempestivamente alle nuove normative e a quelle che verranno, il che permette loro di pianificare lo sviluppo invece di subire e correre ai ripari.
Sono molte le cose che possono fare le aziende, come parlare delle foreste sostenibili che finanziano, invece che delle certificazioni di cui sono in possesso. Imparate da altri tipi di industria manifatturiera: i produttori di latte bio non sono “timidi” nello sbandierare come producono il latte, come si vede bene nella “Cow Cam”, la trasmissione in diretta della catena di supermercati britannici Waitrose, che mostra la trasparenza nella produzione di latte e derivati, dal punto di vista… di una mucca! Mostrate alla gente da dove viene l’imballaggio, quali risorse sono state impiegate per realizzarlo e quante altre possono esserne ricavate in caso di riutilizzo.
L‘impronta di carbonio della plastica riciclata può essere molto bassa, ed è qualcosa su cui dobbiamo educare i consumatori. In questo momento, tutta la plastica viene demonizzata; le aziende devono educare la gente su quanto possa essere “verde” anche questo materiale quando è facile da riciclare. Se produci bottiglie di plastica riciclata, è tuo compito fare qualcosa in più e spiegare ai consumatori – sull’imballaggio stesso e sul tuo sito web – come riciclarle ancora e come si svolge tutto il loro ciclo vitale.
Nel suo intervento lei ha parlato di una crisi di fiducia dei consumatori verso i marchi. Con tutta la pressione a cui le imprese sono sottoposte per dimostrare di essere sostenibili, il greenwashing (strategia di comunicazione finalizzata a costruire una falsa patina ecologica, Ndr) può diventare un problema?
Le persone vogliono prove. Sono molto ciniche. Viviamo nell’epoca delle bufale, delle false notizie: non si sa più cosa credere o di chi fidarsi.
Suona molto bene dire cose come “produciamo bottiglie per lo shampoo con plastica riciclata recuperata dagli oceani”. E siamo ancora alla fase in cui alcuni diranno: “Fantastico! Mi fido”. Ma la domanda successiva sarà: “Come certificate qualcosa che è prodotto in plastica riciclata recuperata dagli oceani? E poi si può riciclare di nuovo?”
Dunque, la prima fase è quella in cui i consumatori iniziano ad aspettarsi che tutti gli imballaggi siano sostenibili. La seconda inizia quando iniziano a chiedere ai produttori di provare che quello che fanno è davvero sostenibile. I consumatori richiedono una legittimazione da organismi super partes. In Italia le cifre colpiscono: il 44% delle persone interrogate da Mintel hanno affermato di fidarsi solo dei prodotti certificati.
Abbiamo bisogno di certificazioni valide per garantire che i prodotti siano riciclabili e riciclati. Al momento, un bicchiere di carta per il caffè da asporto ha un simbolo che indica che può essere riciclato – il che, tecnicamente, è vero. Ma pochi impianti di riciclaggio sono abbastanza sofisticati da poter separare il laminato impermeabile dalla carta, e di fatto solo un bicchiere su quattrocento viene effettivamente riciclato. Queste sono le acque torbide in cui ci muoviamo. Per colmare questo divario di credibilità abbiamo bisogno di certificazioni autorevoli, che affermino che un prodotto è stato riciclato o può esserlo davvero.
Il motto è “vedere per credere” e le aziende devono essere aperte e mostrare i propri processi ai consumatori. Il 25% dei ragazzi britannici fra i sedici e i ventiquattro anni vuole pubblicità che promuova l’impegno ambientale dei marchi. Potete mostrare il processo di riciclaggio delle bottiglie di plastica, o la crescita delle vostre foreste in diretta! Ci sono marchi, come Reformation negli Stati Uniti, che offrono visite degli stabilimenti e mostrano quanta acqua e CO2 sono stati usati per produrre un particolare vestito o completo, confrontando poi i risultati con gli standard del settore.
Quali opportunità vede ora per l’imballaggio di carta?
In Europa, il consumo di carta aumenta di anno in anno. Il settore potrebbe attivarsi di più per spiegare quali e quanti oggetti possono essere prodotti con la carta.
Questo comprende cose che possono essere vendute e cose che catturano l’immaginazione.
Vediamo società che producono mobili di carta completamente riciclabile, pellet di carta igienica utilizzati come materiale per la costruzione di strade, montature di occhiali in cartone e filtri ecologici per sigarette che al momento dello smaltimento rilasciano semi di piante.
Esistono anche forme innovative di imballaggi di carta per alimenti che imitano la plastica, come le pellicole tattili Bemis che danno al tatto e all’udito le stesse sensazioni della carta kraft avana artigianale usata per confezionare snack, e sacchetti di olio di cocco in una busta di carta con strato barriera metallizzato.
Quello della carta può essere un settore a crescita pulita. Con l’aumento delle foreste gestite in maniera sostenibile, piene di alberi che producono ossigeno, questo materiale non solo proviene da fonti rinnovabili, ma è anche un contribuente netto all’ambiente, che immette aria pulita nell’atmosfera. In un’epoca caratterizzata dalla diminuzione delle risorse, come il carbone e il petrolio necessari per produrre la plastica, la carta è una soluzione che può contribuire a combattere l’inquinamento.
Tutti parlano di come le consegne via drone potrebbero rivoluzionare la vendita al dettaglio e l’imballaggio. Cosa ci aspetta dietro l’angolo?
Le consegne via drone, secondo me, non diventeranno affatto comuni, perché siamo sempre più urbanizzati e non tutti hanno un cortile adatto a ricevere merci con questo mezzo. Tuttavia gli imballaggi di cartone ondulato continueranno a crescere, e una delle ragioni è l’invecchiamento della popolazione: per gli anziani il commercio elettronico sarà l’unico modo di fare shopping e loro esigenze daranno impulso ai tipi e formati di imballo usato per le consegne.
Qual è la lezione più importante che si porta a casa dal vertice Let’s Paper The World 2018?
Ho capito quanto siano esigenti i consumatori e anche quanto reagiscano in modo emotivo. Vedo tutto questo come un’opportunità. Al vertice abbiamo condiviso una migliore comprensione di quello che i settori dell’imballaggio e della vendita al dettaglio possono fare per valorizzare l’ottimo lavoro che già stanno facendo. Vorrei vedere più imballaggi e sacchetti che segnalino quanto ossigeno è stato generato durante il processo di produzione. Il sacchetto stesso è uno spazio per informare e ispirare i consumatori. Nel mio settore ci si concentra tanto sulla velocità e sull’automazione: cominciamo a cambiare mentalità. Vorrei vedere sacchetti che danno un nome e una faccia alle persone che lavorano dietro le quinte per produrli. In questo momento per il settore si presenta una grande opportunità di comunicare la credibilità dei suoi esperti e i benefici che può dare all’ambiente.
Richard Cope è consulente senior esperto di trend, presso la società di ricerche di mercato e consulenze di marketing Mintel