Orogel, Granarolo, Loacker, Lorens Bahlsen, Kettle… L’innovazione nel packaging flessibile secondo SIT.
“Innovare il packaging” fa pensare subito a biopolimeri e riciclabilità. Tuttavia non si può parlare di sostenibilità né di contrasto allo spreco alimentare – i primi due goal di qualsiasi progetto green – senza considerare come e perché il cibo viene confezionato e protetto. E allora partiamo dal fatto che il 46% dei prodotti alimentari (bevande escluse) è protetto in packaging flessibili di plastica “tradizionale”, primo presidio di integrità, salubrità e durata. E che, in termini di peso, questo 46% tipo di packaging rappresenta solo il 10% dell’imballaggio totale. Detto questo – non c’è dubbio – bisogna occuparsi del suo impatto ambientale.
Ne hanno parlato alla scorsa Print4All Conference Neni Rossini, Presidente SIT Group, insieme a Aldo Peretti, Presidente e CEO di Uteco Group e Silver Giorgini, Direttore Qualità e Innovazione Prodotti in Orogel, partendo dall’impulso che le istanze ecologiste (ma anche il marketing dei produttori di beni) sta dando all’innovazione dell’imballaggio flessibile di plastica. Si tratta di uno sviluppo di filiera (anzi, di economia, che va resa veramente circolare), sostenuto dalla digitalizzazione dei processi in ottica 4.0: il dialogo fra macchine e sistemi permette alla catena di fornitura di seguire “just in time” i mutamenti della domanda, spesso repentini e talvolta massicci, com’è accaduto per gli alimenti durante il lockdown.
Ma la parte più visibile del rinnovamento interessa i materiali, con i produttori impegnati a formulare nuovi polimeri riciclabili, biodegrababili, compostabili, e gli utilizzatori a ottimizzare l’uso di quelli che già esistono. Neni Rossini lo testimonia: è una tendenza impetuosa e ineludibile, che la coinvolge in prima persona, alla guida del gruppo di San Marino ma anche del Comitato Sostenibilità del Giflex (il gruppo dei produttori di imballaggio flessibile di Assografici) e nel consorzio europeo Ceflex. Il converter svolge il ruolo di “braccio armato” del brand owner, che detta la strategia e al fornitore chiede la capacità di realizzarla.
Nel caso di Orogel – premette Giorgini – non significa schierarsi contro la plastica, «anche perché molti sedicenti packaging “alternativi” a base carta comprendono layer di materiale plastico a contatto col prodotto» ma lavorare a tutto campo per ridurre l’impatto dei propri packaging. Per esempio riducendo la quantità di materiale utilizzato e spingendo sulla riciclabilità: «perché la gente non sa quanti beni di uso comune sono fabbricati con plastiche riciclabili. Bisognerebbe fare informazione anche su di questo…».