Il commercio mondiale della stampa flessografica ha raggiunto il suo massimo storico nel biennio 2017-2018, quando ha superato il miliardo di euro. Nel 2019 è sceso di poco sotto questa soglia, mentre nel 2020 è ovviamente previsto un ulteriore calo. Già dall’anno prossimo, tuttavia, le previsioni sono di ripresa e nel 2023 il valore delle macchine flexo vendute nel mondo si stima arriverà di nuovo al miliardo di euro.
Come leggono i mercati, in questo momento di grande incertezza, i grandi player italiani? E come orientano di conseguenza l’offerta di prodotti e servizi? Lo abbiamo chiesto a Marco Calcagni, direttore commerciale di Omet e past president di Acimga, con un ruolo di spicco nell’associazione confindustriale dei costruttori italiani di macchine per la stampa flexo, roto e di tutte le altre tecnologie che servono il comparto del packaging e delle Arti Grafiche.
Come stanno andando in Omet le vendite di macchine flexo?
Negli ultimi due mesi (settembre e ottobre, Ndr) siamo tornati ai livelli dell’ottobre 2019 e anche meglio. In genere le aziende più grandi stanno perseverando nei loro progetti di investimento, con una certa attenzione ai costi ma senza grandi cedimenti. Viceversa, fra le realtà più piccole c’è chi si butta perché “gli investimenti si fanno proprio nei momenti di difficoltà” e chi invece è più timoroso e frena. Ma come veramente andranno le cose si capirà nei prossimi mesi.
A cosa si deve questa differenza di propensione a investire? A una diversa cultura manageriale?
Più che altro al fatto che le multinazionali, per definizione, operano su tanti mercati diversi – diversamente toccati dalla pandemia e con strumenti differenti per fronteggiarla – e hanno dunque margini di compensazione. Viceversa chi opera in aree limitate è più soggetto alla pressione delle situazioni e dei clienti locali.
Detto questo, è anche vero che è più facile prendere una decisione difficile lavorando in team, con competenze e skill differenziati come facilmente accade nelle grandi aziende con struttura manageriale, di quando si è da soli alla guida di un’impresa, come ancora accade in tante PMI a impronta famigliare.
Che tipologia di macchina flexo state vendendo di più?
Nel labeling crescono ancora le macchine per shrink sleeve e sempre quelle per le etichette autoadesive. Guardando alle aree geografiche, gli USA, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, i converter non hanno mai smesso di investire, e anche in Europa il mercato non si è fermato tutto (in Italia anche grazie agli incentivi). Soffrono invece di più i colpi del Covid molte economie in fase di sviluppo, anche quelle che prima della pandemia stavano mostrando segnali rilevanti di interesse per la flexo, come ad esempio India e Brasile. Quanto alla ripresa della Cina, che già vale 4 punti del PIL, direi che anche lì l’economia deve ancora stabilizzarsi.
Astraendo dalle singole situazioni, in generale cosa ha cambiato il Covid nella propensione a investire? E nella tecnologia emergente?
Direi non tanto: sicuramente, e forse per qualche anno, un rallentamento degli investimenti ma senza mettere in discussione le prerogative e l’utilità della stampa flessografica. Quanto alle tipologie di macchine, continueranno a guadagnare terreno le ibride che accolgono sulla stessa piattaforma sia tecnologie di stampa diverse sia gruppi di finishing e di converting.
Negli ultimi mesi stanno facendo capolino sul mercato imballaggi, cartotecnici e non solo, trattati/additivati con sostanze sanificanti a tutela di igiene e salubrità. Omet è stata coinvolta in sviluppi di questo tipo?
Sì, abbiamo lavorato su alcuni nuovi materiali con queste caratteristiche ma perlopiù si tratta di progetti ancora in fase di test.
In quali settori applicativi la flexo conoscerà più sviluppo nel futuro prossimo?
Sicuramente il food, anche perché le note difficoltà del canale horeca orientano i consumatori verso la GDO, e verso confezioni monodose dove la flexo è impiegata così vantaggiosamente. E naturalmente l’industria dell’igiene e della pulizia, produttrice di quei presidi di sicurezza individuale che tutti ci siamo abituati a usare.
Come chiuderà Omet questo 2020?
Con un calo di fatturato intorno al 7-9% e un valore della produzione allineato a quello dell’esercizio precedente.
E il 2021? Come si prospetta?
Sinceramente, più che per l’esercizio in corso sono preoccupato per l’anno a venire: a inizio 2020 Omet aveva un portafoglio di ordini molto nutrito e quindi, nonostante qualche difficoltà di fornitura, abbiamo continuato a costruire, ma la prospettiva di nuovi lockdown potrebbe generare un forte rallentamento: ciò che crea più paure e problemi è l’incertezza.
E se sul piano fattuale la differenza la faranno i brand owner che sono stati capaci di fare gli investimenti giusti, e quindi continueranno a svilupparsi sostenendo anche la filiera a monte, a livello di clima collettivo bisognerebbe smettere di seminare il panico. Con questo virus dobbiamo conviverci e non possiamo fermare il mondo. Servono equilibrio e buon senso, e una Politica non faziosa.