Nel 2017, il fatturato dell’industria italiana costruttrice di beni strumentali si è attestato a 46,6 miliardi di euro, segnando un incremento del 9,7% rispetto all’anno precedente. Il risultato è stato determinato principalmente dall’ottimo andamento delle consegne sul mercato interno, trainate dalla vivace domanda di beni di investimento. Più moderato l’incremento dell’export. Positive le previsioni per il 2018 anche in virtù delle misure previste dal Piano Nazionale Impresa 4.0.
Questo è quanto emerge dai dati di consuntivo presentati il 17 luglio da Sandro Salmoiraghi, presidente Federmacchine, in occasione dell’annuale assemblea della federazione delle imprese italiane costruttrici di beni strumentali che ospita l’incontro con Enrico Letta, presidente dell’Associazione Italia-Asean.
In particolare, secondo i dati elaborati dal Gruppo Statistiche Federmacchine, il fatturato dell’industria italiana costruttrice di beni strumentali è cresciuto, del 9,7%, a 46,6 miliardi di euro. Nel confronto con il 2016, tutti e 13 i settori di Federmacchine hanno visto crescere il proprio fatturato.
Supportato dalle misure di super e iperammortamento, il consumo domestico è cresciuto, dell’11,6%, a 24 miliardi. A beneficiare di ciò sono state anzitutto le consegne dei costruttori italiani sul mercato interno cresciute, del 14,3%, a 14,9 miliardi. Positivo anche l’andamento delle importazioni il cui valore si è attestato a 9,2 miliardi, il 7,6% in più rispetto al 2016.
Dopo un 2016 piuttosto piatto, nel 2017, le esportazioni sono tornate a crescere in modo deciso, segnando un +7,6% rispetto all’anno precedente, pari 31,8 miliardi di euro. Principali mercati di sbocco dell’offerta italiana sono risultati: Germania (3,4 miliardi di euro, +8,1%), Stati Uniti (3 miliardi di euro, +2,6%), Cina (2,1 miliardi, +14%), Francia (2,1 miliardi, +5,5%) e Spagna (1,3 miliardi, +7,6%).
Con particolare riferimento all’Area Asean, le esportazioni italiane nell’ultimo quadriennio hanno registrato un trend di incremento praticamente costante. Nel 2017 le vendite nell’area si sono attestate a 1,1 miliardi di euro, il 6,3% in più rispetto al 2016 ma addirittura il 20% in più rispetto al valore registrato nel 2013.
Un ragionamento a parte merita il dato di export su fatturato risultato pari al 68%, in ulteriore calo rispetto all’anno scorso quando si attestò al 69%. Il ridimensionamento registrato a partire dal 2014 è testimonianza della ripresa di vigore della domanda italiana che finalmente è tornata a investire in tecnologia di produzione.
Il saldo complessivo dei settori che fanno capo a Federmacchine, è stato positivo per 22,6 miliardi di euro
(+7,7% rispetto all’anno precedente).
In particolare il saldo della bilancia commerciale del paese è risultato in attivo per 47,3 miliardi di euro. Dei tre comparti attivi (Abbigliamento & Arredamento, Meccanica, altri manufatti) il settore delle macchine e apparecchi meccanici, nel quale è compreso tutto il comparto del bene strumentale rappresentato da Federmacchine, è quello che ha fornito di gran lunga il contributo maggiore (50,7miliardi di euro) alla bilancia del paese.
Anche il 2018, come evidenziato dalle previsioni elaborate dal Gruppo statistiche Federmacchine, sarà positivo per il settore. Il fatturato crescerà, del 5,8%, a 49 miliardi. L’export salirà, del 5%, a 33,3 miliardi. Il consumo arriverà a 26 miliardi circa, il 7,1% in più rispetto al 2017, trainando soprattutto le consegne interne che saliranno, del 7,5%, a 16 miliardi. Crescerà comunque anche l’import, del 6,4%, a 9,8 miliardi.
“La ripresa del mercato interno dimostra che i provvedimenti di super e iperammortamento hanno funzionato e stanno tuttora funzionando ma, se vogliamo continuare a recitare un ruolo di primo piano nello scenario internazionale, non possiamo fermarci proprio ora. Dobbiamo premere sull’acceleratore dell’innovazione”, ha affermato Sandro Salmoiraghi, presidente Federmacchine. “Recenti indagini svolte da primari istituti di ricerca e consulenza dimostrano che, negli ultimi anni, la richiesta di credito, rivolta dalle Pmi alle banche è decisamente diminuita. Un ulteriore indicatore, questo, del miglioramento dello stato di salute della nostra manifattura. Anche sulla base di queste indicazioni chiediamo alle autorità di governo di metterci nelle migliori condizioni per lavorare. Industria e Impresa 4.0 hanno fatto molto ma possono, se prolungati, contribuire ancora di più a nuovi e necessari sviluppi e aggiornamenti del tessuto manifatturiero italiano. La piccola e media impresa ha necessità di tempo per valutare e attivare gli investimenti e ciò vale ancor di più con Industria 4.0 che porta con sé vere e proprie rivoluzioni organizzative. Per questo – ha affermato il presidente Salmoiraghi – chiediamo di prolungare l’effettività delle misure di super e iperammortamento, magari rivedendo i coefficienti ma lasciando il tempo alle imprese di maturare le decisioni d’acquisto. Nel lungo periodo poi, il superammortamento dovrebbe divenire strutturale per accompagnare le imprese italiane in un processo di aggiornamento costante e cadenzato nel tempo. Se ciò non fosse possibile, chiediamo che sia almeno introdotto il sistema degli ammortamenti liberi anche perché i coefficienti sono fermi al 1988 e certamente non rispecchiano più il ritmo di aggiornamento richiesto oggi dal mercato. Occorre poi accompagnare questo processo di inserimento di nuova tecnologia con un uguale impegno sulla vera risorsa delle imprese: l’uomo”, continua Salmoiraghi. “Per questo chiediamo che il provvedimento dedicato alla formazione così come definito nel programma Impresa 4.0 sia perfezionato. A nostro avviso, il credito di imposta al 40%, attualmente applicato al solo costo del lavoro del personale coinvolto nella formazione, dovrebbe essere esteso anche al costo dei corsi e dei formatori impiegati, che è poi la spesa più gravosa per le PMI. Dobbiamo incentivare le imprese ad aggiornare il proprio personale. Ma dobbiamo favorire anche l’ingresso di nuove risorse in azienda. Deve quindi continuare il lavoro sugli ITS, istituti di alta formazione tecnica post diploma la cui distribuzione sul territorio deve divenire sempre più capillare. Abbiamo bisogno di un contesto che faciliti il più possibile l’accesso dei giovani al mondo del lavoro e permetta alle aziende di investire in nuove risorse con la giusta tranquillità. Per spingere le imprese ad assumere e, a farlo a tempo indeterminato, occorre intervenire sulla riduzione del cuneo fiscale e con la piena detassazione e decontribuzione per i primi anni di assunzione non certo con l’eliminazione di contratti a termine e la revisione della materia dei contenziosi che creerà nuova e aggiuntiva burocrazia per le imprese. Il positivo andamento previsto per il 2018, farà crescere ancora l’occupazione nel nostro settore che salirà a 193.000 addetti (+0,7%). Questo solo per dire che l’occupazione cresce quando c’è lavoro; il lavoro non può essere creato in altro modo. Sul fronte estero, la crescente complessità del contesto rende la competizione economica anno dopo anno sempre più aspra e serrata, complicata anche dall’atteggiamento protezionista delle grandi potenze economiche mondiali: Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito, tutti mercati di sbocco della nostra offerta. E purtroppo cresce la diffidenza anche all’interno della stessa Europa”, conclude Salmoiraghi. “Noi costruttori italiani di beni strumentali viaggiamo in lungo e in largo passando da un fuso orario all’altro. Abbiamo bisogno di avere in Europa, e non solo in Italia, la nostra casa. Abbiamo bisogno di un mercato libero e aperto, più di prima, di un’Unione Europea forte per un’Italia forte. In questo senso, il ragionamento sulle delocalizzazioni inserito nel Decreto Dignità, che speriamo venga corretto in sede parlamentare, appare un pericoloso deterrente per quanti intendano sviluppare il proprio business.In prima battuta poiché potrebbe evidentemente scoraggiare nuovi investimenti stranieri in Italia. E poi perché, il decreto non distingue con la dovuta precisione la differenza tra delocalizzazione e internazionalizzazione. Un conto è la chiusura in toto dell’attività produttiva in Italia con conseguente perdita di occupazione, per trasferimento in un paese ove le condizioni e i costi siano più vantaggiosi, un conto, invece, è il trasferimento di una parte della produzione o addirittura l’apertura di filiali produttive di imprese italiane in altri paesi, senza toccare l’occupazione in Italia. Queste ultime operazioni devono essere incentivate, non certo penalizzate.”