Che prospettive hanno le PMI italiane sul difficile mercato cinese della stampa e del converting, dominato da grandi utilizzatori e dalla strutturata concorrenza di tedeschi e americani? Ce lo spiega Mr. Chang’an LU, Vice President del Peiac, l’associazione dei costruttori di macchine che supporta la fiera China Print.
La nona edizione del China Print, la più grande fiera cinese della stampa, in calendario il prossimo 9-13 maggio 2017 al nuovo China International Exhibition Centre di Pechino, ospiterà su un’area di 160mila mq circa 1300 espositori (fra cui una piccola ma agguerrita “collettiva” di italiani organizzata da Acimga) e più di 200mila visitatori da tutto il mondo.
Per promuoverla, gli organizzatori della China Print Show Company Ltd. insieme ai grandi sponsor – l’associazione nazionale dei costruttori di macchine Peiac e il China International Exhibition Centre Group Corporation (Ciec) – hanno indetto lo scorso dicembre una conferenza stampa: ultimo atto di un intenso road show con tappe nelle principali fiere di settore e negli uffici delle più importanti istituzioni economiche dei Paesi da cui giungeranno espositori e visitatori. Giornalisti e personalità del settore sono confluiti nella vivacissima e inquinatissima Pechino, accolti dal caotico intreccio di veicoli e da un cielo azzurro ripulito dal vento proprio per noi: 300 ospiti provenienti da 20 paesi, dall’Australia all’India con nel mezzo tutto il sud-est asiatico e la Russia, fino all’Europa rappresentata da Francia e Italia (Converting è da sempre Media Partner della fiera).
Il programma dell’incontro prevedeva una giornata di relazioni sull’economia cinese del settore e sulla manifestazione che, in soli nove anni, è diventata la seconda più grande del mondo e per l’edizione del 2017 mette in campo un’organizzazione smart e modalità di relazione sempre più “occidentali” (evidentissime negli speech dei dirigenti locali di Heidelberg & Co. sul palco accanto ai manager di Sino-MV, Dinga e Shandong Century). Il giorno successivo, come da tradizione, è stato invece dedicato a visitare realtà industriali e istituzioni culturali del Paese. Lo scorso dicembre è stata la volta del Museo Cinese della Stampa, che sorge accanto alla famosa università pechinese delle arti grafiche, e del Topcent Industrial Park: primo, interessante, caso nazionale di polo privato che raggruppa imprese complementari della stampa e del converting in una rete di attività di Servizio e Ricerca. E ancora una vota, dal confronto fra la millenaria civiltà dove sono nate la scrittura e la polvere la sparo, e i frutti dell’attuale commistione fra economia pianificata e di mercato, è emersa una realtà contrastata di indubbio interesse. Anche per gli italiani export oriented.
Cinesi e italiani vanno bene insieme
Sarà per l’indole comunicativa, per alcuni elementi comuni delle due culture o per uno spirito affine di inventiva e industriosità, ma pare che Cinesi e Italiani si intendano, anche nel campo degli affari. Nel mondo del printing le prospettive appaiono particolarmente allettanti, a dispetto delle barriere da superare, se non altro per l’enormità del mercato di riferimento ma non solo. La conferenza di Pechino ha fornito alcuni dati sull’industria cinese del settore, utili a farsi un primo quadro della situazione, e ci ha offerto l’occasione di intervistare il vice presidente del Peiac, la potente associazione “locale” dei costruttori di macchine e attrezzature per la stampa. Mr. Chang’an LU non è solo ambasciatore dell’istituzione che rappresenta ma è anche un rispettato esperto del settore, a cui abbiamo chiesto informazioni sul famoso calo di performance dell’economia cinese, i trend della domanda nel settore della stampa e, buon ultimo, su come gli operatori del gigante asiatico considerano, nel bene e nel male, i fornitori italiani.
Mr. Chang’an LU quali sono le sfide che gli stampatori cinesi devono affrontare oggi?
Ci sono vari aspetti da considerare. Anzitutto il cambio di passo dell’economia. Come noto, le statistiche relative al PIL evidenziano un rallentamento della crescita, che è passata da uno sviluppo a due cifre a una velocità “di crociera” (fra il 6 e il 7%) frenando, naturalmente, anche l’industria del printing (+5%). Gli analisti ritengono che questo andamento proseguirà fino al 2018 e che dopo ci sarà una ripresa al 6-7%.
Quali sono i segmenti che vanno meglio?
Libri e periodici crescono meno, anche se in Cina la stampa editoriale è sostenuta dai grandi volumi di libri scolastici e per bambini e, dunque, seppure modesto, uno sviluppo c’è sempre. Per contro, il package printing e il labeling stanno vivendo una fase di forte dinamismo, tanto che, si stima, arriveranno a rappresentare il 70% degli sbocchi della stampa.
Una quota altissima: dovuta a un aumento della domanda sul mercato domestico, all’export o a quell’attività ibrida sviluppata dalle multinazionali che si riforniscono in Cina?
Essenzialmente si deve allo sviluppo progressivo di una serie di settori dell’economia. Il cosmetico per esempio, oppure il tabacco dove, fra l’altro, la Cina riceve molti ordini importanti dalle multinazionali.
China Print è diventata la seconda fiera più grande del mondo dopo drupa. Si rivolge soprattutto agli operatori dell’Est oppure mira a insidiare il primato della fiera tedesca?
In effetti, China Print è cresciuta molto rapidamente. Oggi si posiziona al secondo posto tra le fiere del printing di tutto il mondo, e al primo fra quelle dell’Asia Pacifico – cosa, quest’ultima, praticamente inevitabile, visto il ruolo di primo piano che la Cina svolge in questa parte del mondo. Ciò detto, è anche vero che la globalizzazione riguarda l’intera economia e dunque anche le industrie e i mercati della stampa. La Cina, in quanto grande potenza industriale, sta portando avanti l’internazionalizzazione in tutti i segmenti produttivi. CHINA PRINT segue la medesima evoluzione e si propone all’industria del printing di tutto il mondo come piattaforma privilegiata per comprendere il mercato asiatico della stampa, scoprire le tecnologie dell’est e aiutare industria nel suo complesso a costruire un futuro prospero.
Durante la conferenza, espositori cinesi e internazionali sembravano parlare “la stessa lingua”: stessi obiettivi, stesse parole d’ordine, persino le modalità di comunicazione si vanno uniformando. Questo significa che le richieste del mercato sono ormai le stesse?
Sono diverse, e per più motivi. Anche se resta molto più basso che nelle economie occidentali, anche in Cina il costo del lavoro si sta alzando; lo stesso accade per le tirature dei lavori, ancora molto lunghe rispetto all’occidente eppure in progressiva diminuzione. Questi fenomeni portano a un aumento di interesse per le macchine automatiche, fino a poco fa inesistente. Poi ci sono differenze nelle tecnologie dominanti, l’offset tradizionale, ad esempio, che da noi è ancora molto diffuso.
E i sistemi di controllo qualità?
Possiamo constatare un grande miglioramento nella qualità della stampa fatta in Cina. Abbiamo macchine delle migliori marche occidentali e tutte le attrezzature che ci permettono di raggiungere gli standard più elevati. In parallelo, siamo impegnati a migliorare gli inchiostri. I risultati sono esplicativi: nel nostro principale distretto della stampa, nell’area di Guangdong, operano moltissime aziende che servono anche i grandi brand stranieri con lavori di livello molto alto.
È cambiata anche la legislazione? In Europa sono stati la pressione dei cittadini e l’imposizione dei Governi a rendere possibile un aumento della qualità e sicurezza dei manufatti e dell’ambiente.
La Cina, come accade in altri Paesi del mondo, ha adottato una serie di norme per la prevenzione dell’inquinamento nell’industria della stampa. Attualmente, in 17 province cinesi le aziende grafiche e i converter di imballaggio sono soggetti alla nuova legislazione, appena varata, che regola i livelli di tassazione in proporzione alle quantità di VOC prodotte. A partire dal 1 gennaio 2018, l’imposizione fiscale sarà articolata secondo l’ammontare dei VOC emessi: un’impostazione emblematica dell’importanza attribuita ai trattamenti delle emissioni, che dovranno essere adeguati passando da un livello di base agli standard più severi fissati dalla legge. Cosa non indolore: alcuni stampatori non sono in grado di dotarsi delle tecnologie necessarie a gestire i fattori inquinanti e stanno vivendo un periodo di difficoltà che in alcuni casi, può portare addirittura alla chiusura. È un problema serio, che CHINA PRINT ha preso a cuore. Abbiamo istituito una zona dedicata, chiamata VOC Treatment Zone, per offrire a espositori, utilizzatori e visitatori una piattaforma dove discutere esperienze e opinioni, e mettere a fuoco le possibili soluzioni.
Cosa si aspettano, secondo lei, gli operatori cinesi dai costruttori italiani di macchine per il printing e il converting?
I cinesi apprezzano molto le macchine italiane per la loro robustezza e qualità. In Italia operano aziende di primissimo livello e i cinesi amano molto l’industria italiano del packaging: è molto popolare qui.
Quanto conta la dimensione d’impresa nella scelta di un fornitore?
Il fattore chiave non è la dimensione ma la tecnologia avanzata. Un’impresa può essere piccola ma focalizzata su un tipo di prodotto ed essere così molto avanti sul piano tecnologico. È su questo terreno che in Cina si confrontano tedeschi, americani e italiani.
Nel 2018 in Italia si svolgerà la fiera internazionale del printing e del converting Print4all, in concomitanza con una serie di altre esposizioni complementari sull’industria del packaging, della plastica, della logistica ecc. a completare la catena di fornitura. Cosa ne pensa di questo progetto?
Personalmente, ritengo che in linea di massima una manifestazione specializzata sia in grado di “mirare” con maggior precisione i singoli target, ma Print4All è un progetto piuttosto particolare a cui guardiamo con interesse. E la nostra industria anche.