La guida “Rotocalco: conoscerla per meglio apprezzarla” è una pubblicazione del Gruppo Italiano Rotocalco, nato a febbraio dello scorso anno in seno ad Acimga. In questo articolo riprendiamo parti saliente del capitolo dedicato al colore.

Assicurare una riproduzione del colore corretta, ossia conforme alle aspettative del designer e del committente, e costante su tutte le tirature, è una delle principali preoccupazioni dello stampatore. Il risultato, infatti, dipende da così tanti fattori da rappresentare una reale difficoltà, anche per i fornitori più “bravi”. Si tratta di fattori soggettivi (l’apparato visivo di ciascun individuo) e oggettivi di varia natura: relativi all’ambiente (tipicamente la luminosità) e al processo industriale di riproduzione.

La Guida “Rotocalco: conoscerla per meglio apprezzarla” pubblicata dal Gruppo Italiano Rotocalco di Acimga li passa in rassegna con puntualità, partendo dall’ABC della percezione, passando per la prestampa ed elencando gli standard fissati e integrati nel tempo dalla CIE, che è l’organismo responsabile delle raccomandazioni internazionali per la fotometria e la colorimetria.

Come ben chiarisce la Guida, il risultato di stampa dipende non solo dalla corretta impostazione dei parametri in prestampa e dal rispetto degli standard ma anche, e sensibilmente, dal concorso di tutti gli elementi del processo: substrati e inchiostri, ovviamente, ma anche rulli, racle, cilindri e pressori, il workflow e le caratteristiche della macchina in sé. Per questo potremmo dire, esagerando per amore di chiarezza, che ottenere un colore perfetto è più un obiettivo ideale a cui tendere per approssimazioni infinite che un risultato raggiungibile una volta per tutte.

In questo articolo riportiamo i capitoli della Guida dedicati agli studi effettuati dalla CIE con l’obiettivo di rendere il più oggettive (misurabili) possibile definizioni e grandezze. Dando “per letti” i paragrafi sugli illuminanti, gli oggetti e lo stesso osservatore, riferiamo la metodologia che permette di ricavare i valori per la descrizione del colore.

Figura 1

I valori tristimolo

Giunti alla definizione numerica di illuminante, oggetto e osservatore, il passaggio successivo consiste nella moltiplicazione dei tre elementi tra di loro per ottenere i valori tristimolo xyz, che definiscono numericamente un colore e lo posizionano all’interno di uno spazio (figura 1). Queste coordinate, dopo che la CIE definì l’osservatore standard nel 1931, vennero usate per formare il diagramma di cromaticità nella figura 2 e la commissione raccomandò l’uso delle coordinate cromatiche xyz.

Nella pratica, i valori tristimolo sono poco usati per definire un colore perché sono scarsamente correlati agli attributi visivi e di conseguenza non pienamente rispondenti alle esigenze industriali: mentre y è correlato al valore di luminosità (chiarezza), x e z non hanno corrispondenza con tonalità e croma […].

Il diagramma xyz verrà, dopo diversi studi, sostituito nel 1976 dal due nuovi diagrammi cromatici, più comunemente chiamati spazi colori:

  • CIE 1976 (L * a * b *)
  • CIELAB e CIELCH (L * C * h °)

Questi diagrammi cromatici si basano sulla teoria dei colori opponenti della visione, che dice: “due colori non possono essere verde e rosso allo stesso tempo, né blu e giallo allo stesso tempo”. Come risultato, i singoli valori possono essere utilizzati per descrivere gli attributi rosso / verde e giallo / blu.

Figura 2 e figura 3

CIELAB – 1976

Lo spazio Colore CIE L*a*b* supporta la teoria della percezione dell’occhio basata su tre recettori separati (rosso – verde – blu). Quando la luce riflessa da un oggetto colpisce i recettori presenti nel nostro occhio, questi ultimi vengo eccitati e, come visto in precedenza, tre segnali distinti vengono inviati al nostro occhio:

  • chiaro o scuro;
  • rosso o verde;
  • giallo o blu.

Questi colori opposti sono stati derivati matematicamente dai valori CIE e definiti nel 1976 nel CIE L*a*b* con l’obbiettivo di avere uno spazio e delle differenze colore più uniformi alla visione del CIE 1931.

  • L* è la misura della luminosità dell’oggetto in un range che va da 0 (nero) a 100 (bianco);
  • a* è la misura del rosso (a* positiva ) o del verde (a* negativa);
  • b* è la misura del giallo (b* positiva ) o del blu (b* negativa).

Più le coordinate a* e b* sono prossime allo zero, più indicano colori neutri (nero, grigio, bianco); più aumentano di valore, più i colori a cui si riferiscono saranno saturi.

Un colore è definito in maniera univoca con le tre coordinate L* a* b*, purché sia accompagnato dall’indicazione dell’illuminante e dell’angolo di osservazione (figura 3).

Uno degli errori più frequenti quando si comunicano i dati di un colore affinché venga creato consiste nel fornire i valori L*a*b* come target, ovvero non includendo informazioni su illuminante e osservatore del colore, senza considerare che a un valore L*a*b* possono corrispondere diverse curve spettrali (figura 4).

Figura 4

CIELCH

Un’alternativa al L*a*b* è l’identificazione L*C*h* dei parametri di luminosità, croma (saturazione) e tinta. Questo sistema è basato sul CIELAB, ma descrive la posizione del colore usando le coordinate polari al posto di quelle rettangolari.

  • L* , per il CIELAB, è la misura della luminosità dell’oggetto in un range che va da 0 (nero) a 100 (Bianco).
  • C* è la misura della croma e rappresenta la distanza dall’asse dei neutri.
  • h* è la misura della tinta ed è rappresentata da un range di angoli che va da 0 a 360 gradi.

Gli angoli compresi tra 0 e 90 rappresentano i colori rossi – arancioni – gialli. Dai 90 ai 180 gradi troviamo invece i gialli, giallo-verdi e verdi; tra 180 e 270 i colori verdi, cyan (blu-verdi) e blu e per finire da 270 a 360 troviamo i colori blu, viola magenta, per poi tornare ai rossi

Differenze colore

La differenza espressa numericamente tra un target di riferimento e il campione analizzato viene chiamata comunemente Delta. I delta tra due coordinate colorimetriche possono essere positivi o negativi: a seconda del segno si determina il tipo di differenza.

  • ∆L * = differenza nel valore di luminosità; se il segno è positivo il colore è più chiaro, se il segno è negativo il colore è più scuro.
  • ∆a * = differenza sull’asse rosso/verde; se il segno è positivo il colore è più rosso, se il segno è negativo il colore è più verde.
  • ∆b * = differenza sull’asse giallo/blu; se il segno è positivo il colore è più giallo, se il segno è negativo il colore è più blu.
  • ∆C * = differenza di croma; se il segno è positivo il colore è più saturo, se il segno è negativo il colore è meno saturo.

Per il ∆h è necessario introdurre un’eccezione in quanto il solo cambio dell’angolo di tinta non è significativo: si deve considerare la saturazione dei due oggetti analizzati. Ad esempio, lo stesso cambio di ∆h può essere impercettibile su due colori neutri a bassa saturazione e molto visibile su una coppia di colori molto saturi, quindi normalmente i cambiamenti di tinta vengono espressi con ∆H (e non ∆h ), che rappresenta la distanza lungo l’arco della croma. Perciò, per una differenza di angolo di tinta simile il ∆H è maggiore tra un paio di colori saturi rispetto a un paio di colori neutri. Se il ∆H è negativo significa che il campione analizzato è posizionato in senso orario sullo spazio colore rispetto allo standard, mentre se positivo è posizionato in senso antiorario (figura 5).

Delta E

Con i parametri sopra analizzati è possibile identificare la differenza su un asse specifico, ma per la differenza totale tra il target e il campione analizzato si deve fare riferimento alla differenza nello spazio colore dei due campioni. Questa differenza è definita ∆E: un valore singolo sempre positivo che esprime il valore (dimensione) della differenza, pur non rivelando se i due colori sono differenti. Per esempio, due campioni analizzati possono avere il medesimo ∆E rispetto allo standard, ma uno può essere più chiaro e l’altro più scuro.

Il Delta E è comunemente usato per specificare le tolleranze. Un valore unico semplifica le operazioni di accettazione o rifiuto di una specifica produzione, pertanto bisogna prestare molta attenzione al tipo di Delta E utilizzato in quanto esiste più di una formula per indicare il valore ∆E.

La percezione del colore non simmetrica

La visione umana registra in modo non uniforme le differenze colore, percependo maggiormente le variazioni di tinta (un rosso diventa più giallo o più magenta) rispetto alle variazioni di saturazione (il rosso è più o meno saturo) e alle variazioni di luminosità (il colore è più chiaro o più scuro). La percezione della differenza dipende inoltre dal tipo di colore. È stato osservato che la percezione delle differenze è più precisa tra colori acromatici (grigi) rispetto alla percezione delle stesse differenze su colori saturi. Addirittura, anche tra colori saturi di tinta differente le percezioni delle differenze non sono le medesime. Ad esempio, l’occhio umano percepisce meno le differenze tra i verdi che quelle tra gli arancio.

Rapportando questo dato al ∆E sviluppato sulla base del CIELAB 1976, si definisce che a valori equivalenti non necessariamente corrispondono differenze visive uguali. Gli studiosi hanno quindi fin da subito cercato un metodo per descrivere le differenze cromatiche in conformità con la nostra percezione del colore. Le evoluzioni della formula del DELTA E sono articolate e qui ci si soffermerà sulle due evoluzioni principali (figura 5).

Figura 5 e figura 6

CMC

Il CMC è un’equazione che rappresenta la differenza colore; è stata sviluppata nel 1984 dalla Color Measurement Committee of society of dyers and coloristic (Comitato per la misurazione del colore della società di tintori e coloristi) per distinguere i colori adeguati per il mondo tessile da quelli inadeguati. Vista la portata rivoluzionaria di una simile equazione, è stata presto utilizzata da altri settori merceologici, compreso il mondo delle arti grafiche e dell’imballaggio flessibile.

L’equazione CMC è stata derivata da quella collegata al CIELAB e si basa su luminosità, croma e tinta del colore (L,C,h). Questa modifica fornisce un valore numerico ∆Ecmc che descrive la differenza tra un target e un campione in uno spazio colore più uniforme alla vista, dunque implementando la possibilità di utilizzare questo come unico punto di controllo. Questo singolo valore rappresenta il volume dell’ellissoide di accettabilità del colore intorno al target. L’ellissoide cambia forma e dimensione a seconda del posizionamento del colore target all’interno dello spazio colore. Un esempio di questo cambiamento è rappresentato dal grafico qui riportato, in cui si nota come la dimensione e la forma di un ∆Ecmc di 1.0 cambino a seconda della disposizione sullo spazio CIELAB (figura 6).

Inoltre, l’equazione permette all’utente di cambiare la dimensione dell’ellissoide per definire una migliore correlazione con la visione dei campioni analizzati; infatti la formula CMC delinea quello che viene definito il rapporto tra l:C, parametri che possono essere variati per dare un peso diverso alle variazioni di luminosità o di croma.

Il CMC suggerisce l’uso della relazione 1:1 per la valutazione di differenze percepibili, mentre la relazione 2:1 per giudicare differenze di colore accettabili.

Il CMC 2:1 è ancora il metodo più usato in rotocalco in Italia e nel sud Europa, ma con motivazioni legate alla consuetudine più che per vantaggi tecnici.

CIEDE2000

L’evoluzione delle formule per il calcolo delle differenze colore è sempre dovuta all’esigenza continua di colmare la non uniformità degli spazi colore definiti nel 1976 con la coerenza visiva. La formula CIEDE2000 introduce diverse correzioni e viene utilizzata per piccole differenze di colore in condizioni di riferimento. Tra le migliorie introdotte dal calcolo vi sono, oltre alla dipendenza da luminosità, croma e tinta:

  • l’introduzione delle funzioni di peso: SL, SC, SH;
  • l’introduzione di fattori parametrici: KL, KC e KH come correzioni che tengono conto dell’influenza di condizioni di visualizzazione sperimentali;
  • una modifica localizzata del ridimensionamento lungo l’asse a* (rosso-verde) per migliorare l’accordo con la percezione della differenza cromatica visiva per i colori neutri;
  • una funzione che migliora e regola la differenza cromatica e la differenza di tonalità nella regione blu.

Numerosi studi indicano che ∆E2000 è superiore ad altre formule di differenziazione del colore. Dagli esperimenti condotti nei vari anni, è evidente che corrisponde meglio al modo in cui gli osservatori umani percepiscono piccole differenze di colore.

Figura 7

Date una serie di imperfezioni dovute ai dati sperimentali su cui si basa, la formula CIEDE2000 potrebbe non essere la risposta definitiva per l’indagine sulle differenze cromatiche. Tuttavia, al momento attuale rappresenta l’ultima evoluzione in materia e per questo dal 2013 l’ISO ha adottato ∆E2000 come nuovo standard di settore per il calcolo delle differenze di colore (figura 7). Standard anche qui fortemente caldeggiato.