Le prime stime indicano nell’ordine dei miliardi il numero di mascherine necessarie alla popolazione italiana ottemperare alle prescrizioni di obbligatorietà. Ma dopo l’uso che fine faranno?
Dopo le negazioni delle origini, ormai è acclarato: la “mascherina” è presidio prezioso e spesso obbligatorio di salute propria e degli altri – barriera fra i virus e il sistema respiratorio – e, con ogni probabilità, ci servirà per molto tempo. Il mondo dunque si sta attrezzando per produrne a sufficienza, fra problemi di approvvigionamento, corretta gestione dei processi e dei controlli, intralci burocratici e contrasto a truffe e “sciacallaggio”. E ora che si inizia “a respirare” si presenta in tutta la sua evidenza anche un altro problema: quello dello smaltimento a fine vita.
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L’invenzione della “mascherina” come presidio sanitario viene attribuita al medico francese Charles de L’Orme nel 1600 e nello stesso secolo si hanno notizie della sua diffusione durante la peste di Milano e Venezia. Il suo impiego sistematico si deve però al chirurgo Paul Berger che, nel 1897, la adottò in sala operatoria, mentre l’uso di massa da parte della popolazione arriva nel primo Dopoguerra con la famigerata pandemia di “Spagnola”.
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Una montagna di rifiuti, più o meno speciali
Stimando anche solo “a spanne” quante mascherine servono a un italiano che esce di casa più volte al giorno per lavorare, fare la spesa, incontrare gli amici eccetera, e tarando le proiezioni sui vari tipi di mascherina, si arriva a ipotizzare un consumo di 3,8 miliardi mascherine al mese (*). Anche riducendo questa cifra del 70% qualora si diffondano eventuali mascherine lavabili, ne resterebbero in circolazione “solo” 1,150 miliardi di pezzi al mese.
A fronte di numeri simili, la collettività inizia a interrogarsi su come raccogliere e smaltire tutto questo materiale, oltre ai guanti e altri ausili. Secondo le norme vigenti, infatti, questi rifiuti dovrebbero finire nella raccolta indifferenziata se gli utilizzatori non sono stati infetti o in quarantena o, viceversa, nei circuiti ospedalieri (v. DPR 254 del 15 luglio 2003). Con un problema in più: un numero indefinito di soggetti può avere contratto il virus senza saperlo, o essere in fase di incubazione, o magari sono asintomatici per natura… e i loro rifiuti sarebbero pericolosi ma non identificabili.
Quanto allo smaltimento vero e proprio, in attesa di capire se e cosa possa essere riciclato (e come) e/o termovalorizzato, il problema ingigantisce di mese in mese.
Ma quanto vive il virus sui vari materiali?
Per impostare correttamente il problema, va anche tenuto presente che, stante le conoscenze attuali, il virus permane sulle varie superfici anche per giorni. Nella tabella dell’Istituto Superiore di Sanità che pubblichiamo in questa pagina si considerano anche gli strati esterni e interni delle mascherine sottolineando, ancora una volta, la problematicità dello smaltimento nei circuiti normali.
Le informazioni elaborate in questo articolo sono tratte da “Riflessioni 0033”, house organ di Ci.Ti.O. sas, studio di consulenze e progetti per il settore grafico, poligrafico, cartotecnico e cartario di Francesco Bordoni (http://www.citio.eu)